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Il trovatore è un'opera di Giuseppe Verdi rappresentata in prima assoluta il 19 gennaio 1853 al Teatro Apollo di Roma. Assieme a Rigoletto e La traviata fa parte della cosiddetta trilogia popolare.
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CP04231505
Descrizione
Il trovatore è un'opera di Giuseppe Verdi rappresentata in prima assoluta il 19 gennaio 1853 al Teatro Apollo di Roma. Assieme a Rigoletto e La traviata fa parte della cosiddetta trilogia popolare.
La prima rappresentazione fu un grande successo: come scrive Julian Budden, «Con nessun'altra delle sue opere, neppure con il 'Nabucco', Verdi toccò così rapidamente il cuore del suo pubblico»
«Deserto sulla terra,
col rio destino in guerra,
è sola speme un cor
al trovator!»
(Manrico, atto I, scena III)
Essendo l'intreccio piuttosto articolato, è comodo anzitutto esporre brevemente la fabula della narrazione. Una giovane gitana, figlia di una donna fatta ardere sul rogo dal conte di Luna con l'accusa di aver stregato il figlio di lui, per vendetta rapisce uno dei due figli del conte, Manrico, e lo vuole gettare sul rogo della madre. In preda al delirio, però, brucia vivo il proprio figlio che era lì con lei, salvando Manrico, che d'ora in poi ella crescerà come se fosse figlio suo. Anni dopo, la vicenda si articola intorno a Leonora, dama di compagnia della principessa d'Aragona, la quale è innamorata di Manrico, divenuto trovatore, che pure la ama. Anche il nuovo conte di Luna, però, è innamorato di Leonora, che lo respinge: la trama verte quindi intorno al conflitto tra i due uomini: solo alla fine, quando Manrico verrà fatto decapitare dal conte e Leonora si sarà suicidata, il conte scoprirà che erano fratelli.
I luoghi sono la Biscaglia e l'Aragona, il tempo l'inizio del XV secolo.
Parte I - Il duello
La scena si apre nel castello dell'Aljafería di Saragozza. Il Conte di Luna ama Leonora (dama di corte della regina), ma non è corrisposto. Ogni notte monta la guardia davanti alla sua porta nel tentativo di vederla. Mentre egli si strugge di questo amore, Ferrando, capitano delle sue guardie, racconta agli armigeri e ai servi la storia del fratello minore del Conte: il bambino fu rapito anni prima da una gitana per vendicare la madre, giustiziata dal precedente Conte con l'accusa di praticare la stregoneria; la zingara (Abbietta zingara) aveva poi gettato il bambino nella stessa pira ov'era morta la madre, il cui fantasma infesta ora il castello. Per questo infanticidio i soldati si infiammano e invocano la morte dell'assassina. Nel frattempo Leonora confida a Inés, sua ancella, di essere innamorata di un misterioso Trovatore del quale non conosce nemmeno il nome, che ogni notte viene a cantarle una serenata col suo liuto (Tacea la notte placida), Leonora racconta come si siano conosciuti ad un torneo, il trovatore però era poi dovuto fuggire, essendo seguace del conte di Urgel, nemico del conte di Luna. Il conte di Luna, dopo aver origliato questa confidenza, ode la voce del suo rivale che intona un canto dedicato alla sua amata (Deserto sulla terra). Leonora esce e, confusa dall'oscurità, scambia il conte di Luna per il suo amato e l'abbraccia. Il Trovatore sorprende i due in quella posa e crede di essere stato tradito, ma Leonora gli giura il suo amore; ciò scatena l'ira del conte, che sfida a duello il rivale e lo costringe a rivelarsi: il suo nome è Manrico, seguace del ribelle conte di Urgell. Leonora cade in terra priva di sensi, mentre i due uomini si allontanano per duellare.
Parte II - La gitana
Ai piedi di un monte, in un accampamento, alcuni nomadi dediti alle loro attività rallegrano il loro lavoro con canti, balli e brindisi (coro: Vedi le fosche notturne spoglie). Nell'allegria generale irrompe una voce addolorata: svegliatasi dal suo incubo ricorrente, Azucena, madre di Manrico, racconta che molti anni prima vide morire sul rogo la madre accusata di stregoneria dal vecchio conte di Luna (Stride la vampa). Le ultime parole della madre erano state una supplica di vendetta, così ella aveva rapito il figlio del conte ancora in fasce e, accecata dalla disperazione, aveva deciso di gettarlo nel fuoco; tuttavia, inorridita dalla visione della madre morta, aveva confuso il proprio figlio col bambino che aveva rapito e lo aveva gettato nel rogo al suo posto. Manrico teme così di non essere il vero figlio di Azucena e le chiede di conoscere la propria identità, ma la donna si rimangia tutto ciò che ha appena raccontato dicendo di averlo solo visto nell'incubo appena concluso, e gli ricorda di averlo sempre protetto e curato proprio come quando tornò all'accampamento ferito dopo il duello col conte. Manrico confida alla madre di esser stato sul punto di uccidere il conte, durante quel duello, ma di esser stato frenato da una voce proveniente dal cielo (Mal reggendo all'aspro assalto). Azucena lo esorta dunque a compiere la vendetta di sua madre, sfidando nuovamente il conte e arrivando stavolta a ucciderlo. Intanto il conte ha fatto spargere la voce che Manrico sia morto, allo scopo di conquistare Leonora; questa tuttavia, piuttosto che andare in sposa a lui, decide di prendere i voti. Venuto a conoscenza della sua decisione, il conte irrompe con molti soldati alla cerimonia di ordinazione per rapirla; in quel momento però irrompe Manrico coi seguaci del conte di Urgel che assaltano il castello del conte di Luna. Manrico approfittando della confusione, porta in salvo Leonora.
Parte III - Il figlio della gitana
Il castello è stato conquistato dalle truppe di Urgel, e i soldati del conte di Luna sono accampati lì nei pressi in attesa di sferrare un attacco per riconquistarlo. Ferrando cattura una vecchia gitana che si aggira furtiva per l'accampamento e la conduce dal conte di Luna, credendola una spia: in realtà è Azucena, che si aggira in quei territori spinta dalle visioni della morte di suo figlio. Riconosciuta da Ferrando confessa di essere lei che ha rapito e ucciso il fratello del conte, nonché la madre di Manrico. Il conte esulta: uccidendo la donna otterrà doppia vendetta, una per il fratello ucciso e l'altra su Manrico che gli ha rubato l'amore di Leonora. Intanto, all'interno del castello, Manrico e Leonora stanno per sposarsi in segreto e si giurano eterno amore. In quel momento, prima della cerimonia, Ruiz sopraggiunge ad annunciare che Azucena è stata catturata e di lì a poco sarà arsa viva come strega. Manrico si precipita in soccorso della madre cantando la celebre cabaletta Di quella pira.
Parte IV - Il supplizio
Il tentativo di liberare Azucena fallisce e Manrico viene imprigionato nel castello dell'Aljafería: madre e figlio saranno giustiziati all'alba. Nell'oscurità, Ruiz conduce Leonora alla torre dove Manrico è prigioniero (Timor di me?... D'amor sull'ali rosee). Leonora implora il conte di lasciare libero Manrico: in cambio è disposta a diventare sua sposa (Mira, d'acerbe lagrime). In realtà non ha alcuna intenzione di farlo: ha già deciso che si avvelenerà prima di concedersi. Il conte accetta e Leonora chiede di poter dare lei stessa a Manrico la notizia della liberazione, ma prima di entrare nella torre, beve di nascosto il veleno da un anello. Intanto, Manrico e Azucena condividono una cella in attesa della loro esecuzione. Manrico cerca di calmare la madre, terrorizzata dal dover subire lo stesso supplizio di sua madre (Ai nostri monti ritorneremo). Alla fine, la donna si addormenta sfinita. Giunge Leonora ad annunciare la libertà a Manrico e a implorarlo di mettersi in salvo, ma quando egli scopre che lei non lo seguirà, si rifiuta di fuggire, convinto che per ottenere la sua libertà Leonora l'abbia tradito; ma lei, nell'agonia della morte, gli confessa di essersi avvelenata per restargli fedele (Prima che d'altri vivere). Il conte, entrato a sua volta nella prigione, ascolta di nascosto la conversazione e capisce d'esser stato ingannato da Leonora, che muore fra le braccia di Manrico. Il conte ordina allora di giustiziare il trovatore: quando Azucena rinviene, egli le indica Manrico morente, ma pur nella disperazione la donna trova la forza di rivelare al conte la tragica verità: «Egli era tuo fratello»: il conte, sconvolto per aver ammazzato di sua mano il fratello, esclama «E vivo ancor!», mentre Azucena può finalmente gridare: «Sei vendicata, o madre!».
La prima rappresentazione fu un grande successo: come scrive Julian Budden, «Con nessun'altra delle sue opere, neppure con il 'Nabucco', Verdi toccò così rapidamente il cuore del suo pubblico»
«Deserto sulla terra,
col rio destino in guerra,
è sola speme un cor
al trovator!»
(Manrico, atto I, scena III)
Essendo l'intreccio piuttosto articolato, è comodo anzitutto esporre brevemente la fabula della narrazione. Una giovane gitana, figlia di una donna fatta ardere sul rogo dal conte di Luna con l'accusa di aver stregato il figlio di lui, per vendetta rapisce uno dei due figli del conte, Manrico, e lo vuole gettare sul rogo della madre. In preda al delirio, però, brucia vivo il proprio figlio che era lì con lei, salvando Manrico, che d'ora in poi ella crescerà come se fosse figlio suo. Anni dopo, la vicenda si articola intorno a Leonora, dama di compagnia della principessa d'Aragona, la quale è innamorata di Manrico, divenuto trovatore, che pure la ama. Anche il nuovo conte di Luna, però, è innamorato di Leonora, che lo respinge: la trama verte quindi intorno al conflitto tra i due uomini: solo alla fine, quando Manrico verrà fatto decapitare dal conte e Leonora si sarà suicidata, il conte scoprirà che erano fratelli.
I luoghi sono la Biscaglia e l'Aragona, il tempo l'inizio del XV secolo.
Parte I - Il duello
La scena si apre nel castello dell'Aljafería di Saragozza. Il Conte di Luna ama Leonora (dama di corte della regina), ma non è corrisposto. Ogni notte monta la guardia davanti alla sua porta nel tentativo di vederla. Mentre egli si strugge di questo amore, Ferrando, capitano delle sue guardie, racconta agli armigeri e ai servi la storia del fratello minore del Conte: il bambino fu rapito anni prima da una gitana per vendicare la madre, giustiziata dal precedente Conte con l'accusa di praticare la stregoneria; la zingara (Abbietta zingara) aveva poi gettato il bambino nella stessa pira ov'era morta la madre, il cui fantasma infesta ora il castello. Per questo infanticidio i soldati si infiammano e invocano la morte dell'assassina. Nel frattempo Leonora confida a Inés, sua ancella, di essere innamorata di un misterioso Trovatore del quale non conosce nemmeno il nome, che ogni notte viene a cantarle una serenata col suo liuto (Tacea la notte placida), Leonora racconta come si siano conosciuti ad un torneo, il trovatore però era poi dovuto fuggire, essendo seguace del conte di Urgel, nemico del conte di Luna. Il conte di Luna, dopo aver origliato questa confidenza, ode la voce del suo rivale che intona un canto dedicato alla sua amata (Deserto sulla terra). Leonora esce e, confusa dall'oscurità, scambia il conte di Luna per il suo amato e l'abbraccia. Il Trovatore sorprende i due in quella posa e crede di essere stato tradito, ma Leonora gli giura il suo amore; ciò scatena l'ira del conte, che sfida a duello il rivale e lo costringe a rivelarsi: il suo nome è Manrico, seguace del ribelle conte di Urgell. Leonora cade in terra priva di sensi, mentre i due uomini si allontanano per duellare.
Parte II - La gitana
Ai piedi di un monte, in un accampamento, alcuni nomadi dediti alle loro attività rallegrano il loro lavoro con canti, balli e brindisi (coro: Vedi le fosche notturne spoglie). Nell'allegria generale irrompe una voce addolorata: svegliatasi dal suo incubo ricorrente, Azucena, madre di Manrico, racconta che molti anni prima vide morire sul rogo la madre accusata di stregoneria dal vecchio conte di Luna (Stride la vampa). Le ultime parole della madre erano state una supplica di vendetta, così ella aveva rapito il figlio del conte ancora in fasce e, accecata dalla disperazione, aveva deciso di gettarlo nel fuoco; tuttavia, inorridita dalla visione della madre morta, aveva confuso il proprio figlio col bambino che aveva rapito e lo aveva gettato nel rogo al suo posto. Manrico teme così di non essere il vero figlio di Azucena e le chiede di conoscere la propria identità, ma la donna si rimangia tutto ciò che ha appena raccontato dicendo di averlo solo visto nell'incubo appena concluso, e gli ricorda di averlo sempre protetto e curato proprio come quando tornò all'accampamento ferito dopo il duello col conte. Manrico confida alla madre di esser stato sul punto di uccidere il conte, durante quel duello, ma di esser stato frenato da una voce proveniente dal cielo (Mal reggendo all'aspro assalto). Azucena lo esorta dunque a compiere la vendetta di sua madre, sfidando nuovamente il conte e arrivando stavolta a ucciderlo. Intanto il conte ha fatto spargere la voce che Manrico sia morto, allo scopo di conquistare Leonora; questa tuttavia, piuttosto che andare in sposa a lui, decide di prendere i voti. Venuto a conoscenza della sua decisione, il conte irrompe con molti soldati alla cerimonia di ordinazione per rapirla; in quel momento però irrompe Manrico coi seguaci del conte di Urgel che assaltano il castello del conte di Luna. Manrico approfittando della confusione, porta in salvo Leonora.
Parte III - Il figlio della gitana
Il castello è stato conquistato dalle truppe di Urgel, e i soldati del conte di Luna sono accampati lì nei pressi in attesa di sferrare un attacco per riconquistarlo. Ferrando cattura una vecchia gitana che si aggira furtiva per l'accampamento e la conduce dal conte di Luna, credendola una spia: in realtà è Azucena, che si aggira in quei territori spinta dalle visioni della morte di suo figlio. Riconosciuta da Ferrando confessa di essere lei che ha rapito e ucciso il fratello del conte, nonché la madre di Manrico. Il conte esulta: uccidendo la donna otterrà doppia vendetta, una per il fratello ucciso e l'altra su Manrico che gli ha rubato l'amore di Leonora. Intanto, all'interno del castello, Manrico e Leonora stanno per sposarsi in segreto e si giurano eterno amore. In quel momento, prima della cerimonia, Ruiz sopraggiunge ad annunciare che Azucena è stata catturata e di lì a poco sarà arsa viva come strega. Manrico si precipita in soccorso della madre cantando la celebre cabaletta Di quella pira.
Parte IV - Il supplizio
Il tentativo di liberare Azucena fallisce e Manrico viene imprigionato nel castello dell'Aljafería: madre e figlio saranno giustiziati all'alba. Nell'oscurità, Ruiz conduce Leonora alla torre dove Manrico è prigioniero (Timor di me?... D'amor sull'ali rosee). Leonora implora il conte di lasciare libero Manrico: in cambio è disposta a diventare sua sposa (Mira, d'acerbe lagrime). In realtà non ha alcuna intenzione di farlo: ha già deciso che si avvelenerà prima di concedersi. Il conte accetta e Leonora chiede di poter dare lei stessa a Manrico la notizia della liberazione, ma prima di entrare nella torre, beve di nascosto il veleno da un anello. Intanto, Manrico e Azucena condividono una cella in attesa della loro esecuzione. Manrico cerca di calmare la madre, terrorizzata dal dover subire lo stesso supplizio di sua madre (Ai nostri monti ritorneremo). Alla fine, la donna si addormenta sfinita. Giunge Leonora ad annunciare la libertà a Manrico e a implorarlo di mettersi in salvo, ma quando egli scopre che lei non lo seguirà, si rifiuta di fuggire, convinto che per ottenere la sua libertà Leonora l'abbia tradito; ma lei, nell'agonia della morte, gli confessa di essersi avvelenata per restargli fedele (Prima che d'altri vivere). Il conte, entrato a sua volta nella prigione, ascolta di nascosto la conversazione e capisce d'esser stato ingannato da Leonora, che muore fra le braccia di Manrico. Il conte ordina allora di giustiziare il trovatore: quando Azucena rinviene, egli le indica Manrico morente, ma pur nella disperazione la donna trova la forza di rivelare al conte la tragica verità: «Egli era tuo fratello»: il conte, sconvolto per aver ammazzato di sua mano il fratello, esclama «E vivo ancor!», mentre Azucena può finalmente gridare: «Sei vendicata, o madre!».